dicembre 2006  

TITOLO EVENTO:

o6.o7 rassegna di arte contemporanea   

 

 

 

Ritorna l’arte contemporanea a Cervignano con la terza edizione della rassegna ideata da Orietta Masin, realizzata quest’anno con la collaborazione di Cristina Lombardo e presentata dallo storico e critico d’arte Fulvio Dell’Agnese.

Patrocinata dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, dalla Provincia di Udine, dal Comune di Cervignano del Friuli e promossa dal Circolo ARCI Cervignano con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura, la manifestazione ogni inverno trasforma la città in un teatro d’arte open air.

Cresciuta nel tempo con l'apporto di artisti provenienti da ogni parte della Regione Friuli Venezia Giulia, è nata per cercare un dialogo fra l'arte, gli artisti e i luoghi. Il percorso si snoda all'aperto, in spazi pubblici, e

quindi in luoghi della collettività accessibili ad una larga maggioranza di persone in una cornice eccezionale che trasforma i luoghi in un museo allargato, in cui l’arte scendendo in strada si incontra con il quotidiano. In questa edizione, attraverso un excursus di nove opere per nove artisti la manifestazione si apre a leggere Cervignano in un’ottica interpretata e vissuta tramite sensibilità diverse.

E così la città sarà invasa da stormi di uccelli di plastica colorata e riciclata; potremo incontrare, alzando gli occhi al cielo, equilibristi coraggiosi su torri antiche, o ricordare i caduti di tutte le guerre attraverso una corona di tulle. Lungo il fiume vedremo insoliti animali di legno o potremo imbatterci in bioccoli di cemento sospesi nell’aria memori della moderna società industriale. E poi nel Parco, dove specchi magici e corde colorate ci ricordano il labirintico viaggio della vita, mentre nel boschetto luminescenti lucciole lanterne ci regalano una pausa poetica prima di incontrare drammatici alberi metallici che fanno da contrappunto a forme sferiche di intrecci di dolorosi rami contorti.  

 

 

Artisti invitati:

 

 

Laura Caproni (Trieste), Luisa Cimenti (Ovaro,Udine), Patrizia Devidè (Monfalcone,Gorizia) Stefano Jus (Castions di Zoppola,Pordenone), Alfredo Pecile (Provesano, Pordenone), Angelo Simonetti (Ruda,Udine) Lara Soncin ( Versa di Romans d’Isonzo,Gorizia), Angelo Topazzini (Castions di Zoppola, Pordenone), Giorgio Valvassori (Gorizia)

 

 

 

Gli organizzatori dell’iniziativa aderiscono al progetto di EMERGENCYAdotta il Centro chirurgico e medico

di Goderich - in Sierra Leone.

 

 

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Un’arte per i luoghi della città     di  Fulvio Dell’Agnese  

 

 

Un grande musicista italiano del ‘900 sosteneva che non da ogni partitura si può pretendere uno “scandaglio sul profondo” dell’identità umana come quello che si esprime nei quartetti per archi di Mozart.

Credo che la valutazione sia condivisibile – mutati i modelli di riferimento – anche per le arti visive; tuttavia può essere pericoloso prescindere dall’idea di poter almeno increspare, per loro tramite, la superficie del nostro vissuto quotidiano. E se un compito così complesso non necessariamente spetta ai soli artisti, ancor meno scontato è che il tentativo debba avvenire in un contesto museale, galleristico, dove la percezione che abbiamo delle opere è comunque attutita e indirizzata dal gioco dei ruoli sancito dall’implicita connotazione degli spazi.  

Il meccanismo attuabile può invece puntare a coinvolgere lo spettatore nella tensione visiva e mentale innescata dall’opera incrinando o frantumando il tranquillizzante diaframma che un tempo immancabilmente separava spazio della finzione artistica e dimensione reale, secondo una prassi di cui gettarono le basi Donatello e Caravaggio e che ha raggiunto i moderni apici di metodo – non credo di stile – in certe sciatterie di Koons o Cattelan.  

Proponendo la meditazione formale negli spazi del quotidiano, se si sfugge alla rincuorante banalità dell’arredo, si può ottenere il duplice risultato di ripercorrere in senso opposto, dalla Galleria alla strada, il cammino aperto da Duchamp novant’anni fa – è datato 1917 l’orinatoio inviato in mostra per issarsi su un piedistallo e affermare, rottame del mondo redento e trasfigurato dalle categorie proprie del manufatto da esposizione, la prevalenza estetica della intenzione dell’autore e del contesto istituzionale sul dato formale –; e di rendere improvvisamente visibile anche il liso frammento di tessuto urbano coinvolto in questa “deriva dello sguardo”.  

Cosa possono fare in un simile contesto dei voli d’uccello agglutinati nella plastica, una figura senza volto in bilico sul vuoto, gli scheletri di animali arcani restituiti dalla risacca, morfemi vegetali fatti metallo, bioccoli di cemento sospesi nell’aria? Forse nulla, e sarebbe magari meglio confinare simili interventi – come in genere si fa per fingere un riscatto di aree degradate, con un atto che in realtà ne sancisce ulteriormente l’emarginazione – in quegli “spazi indecisi, privi di funzione, sui quali è difficile posare un nome”[1]: quegli spazi residui del processo di antropizzazione del territorio che in contesto urbano si compongono di aree industriali dismesse o di impronte sterrate dei cavalcavia, e per cui si è coniata la definizione di “Terzo paesaggio”.Ma siamo certi che il resto della città se la passi meglio?È ormai esperienza urbana acquisita che la modernità costringe a differenti processi e adempimenti: anzitutto alla “distruzione e profanazione dei luoghi per far posto allo spazio” e di conseguenza al “disincanto circa la propria condizione e le proprie relazioni con il prossimo”[2]. Per ricondurre gli spazi del nostro agire ad essere dei “posti”, per riportarli da uno scorrimento opaco alla mutevolezza di un senso possibile occorre probabilmente lo sguardo di una Alice (ma quella di Wenders, non di Carroll) che mescoli, come agli adulti di rado accade, purezza e senso della compatibilità fra realtà e paesaggio interiore; occorrono immagini capaci di deviare, o addirittura catturare, il nostro sguardo senza secondi fini. “Ogni immagine ti tormenta, vuole qualcosa”[3]… Ma non queste.  

Possono poche labili presenze d’arte restituire per qualche attimo ad una via, a uno slargo o – forse a maggior ragione – a un fiume e al suo porto la consapevolezza che ogni luogo di movimento umano, ogni piazza o cammino porta con sé e crea di momento in momento una memoria? “La strada s’imprime al suolo; essa semina germi di vita”[4]. Torniamo ad osservarli, raccomandando allo spettatore una serena libertà di giudizio – anche rispetto a queste righe di presentazione –; nella prudente convinzione che “la questione dell’arte valga ancora la pena di essere posta, ma che sia meglio porla rispetto a opere singole piuttosto che come problema generale”.

 

   
[1] G. Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, Macerata, Quodlibet, 2005 [2004], p. 10.
[2] F. Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Torino, Einaudi, 2003, p. 147.
[3] W. Wenders, Alice nelle città, 1973.
[4] P. Vidal de la Blache, Principes de géographie humaine, Parigi, 1922, p. 231, cit. in F. Farinelli, Geografia..., cit., p. 124.

 

 

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