ANTONIO CORAZZA  1929.1980
_________________________________________________ 



LUOGO ESPOSITIVO: Centro Civico, Cervignano del Friuli
PERIODO: dal 17 dicembre 2006 al 7 gennaio 2007


PRESENTAZIONE
Il Circolo Arci Cervignano e l’Assessorato alla cultura del Comune di Cervignano del Friuli vogliono rendere omaggio al pittore Antonio Corazza con una importante mostra, la prima dopo la grande esposizione antologica che fece nel Dongione di Porta Udine a Palmanova nel 1978 e la prima dopo la sua morte avvenuta nel 1980.
Pittore autodidatta, neorealista nato a Bologna nel 1929 ma cresciuto a Cervignano del Friuli dove mosse i primi passi al Circolo Culturale Zorutti accanto a Giuseppe Zigaina, si trasferì a Roma negli anni ’60, inserendosi da subito nell’ambiente artistico e culturale della capitale. Gli furono tributati consensi e stima da grandi rappresentanti dell’arte e della cultura tra i quali Giacomo Manzù, Giorgio De Chirico, Carlo Levi e il grande poeta Rafael Alberti.
Di seguito alcune loro testimonianze.

Giacomo Manzù : “ I quadri di Corazza sono importanti. Come un antico artigiano costruisce tutti i colori, crea la materia, fa esperimenti e ottiene risultati originali e validi. La materia che usa rinnova la tradizione e il gusto del graffito e dei mosaici classici. Tratta di cose semplici, lavoratori e povera gente, come la corrente neorealista, però le esprime al vivo, con una linea fresca che fa risaltare l’oggetto in una dimensione fantastica. La pietà si trasforma in denuncia di un modo di vita dove la violenza e la sopraffazione e lo sfruttamento invadono tutto, nella sfera pubblica e in quella privata. L’arte che contesta con sensibilità umana costruisce civiltà”.

Giorgio De Chirico : Le sue opere sono interessanti, poiché rivelano un temperamento pittorico e una fantasia non comuni ”.

Carlo Levi : ” Queste opere si esprimono con intensa chiarezza e con la semplicità che è solo di chi ha qualcosa da dire e che la sente e la comprende. Non protesta, ma contenuti reali, e verità, che cercano anche nel mezzo materiale impiegato, la loro forma diretta”.

Scrisse il poeta riguardo ad un’opera di Corazza ispirata da una sua poesia: ” Quest'opera ha espresso perfettamente, in termini pittorici, il significato della mia poesia”.

Ed infine, le parole dello stesso Corazza: “Credo che un pittore non sia abilitato a dare un giudizio sulla sua opera, ma possa soltanto dire su le sue intenzioni morali, possibilmente attraverso le parole di un qualche critico. E mi sembra che il criterio animatore del mio lavoro sia stato espresso con precisione da colui che ha detto che la mia pittura propone una rivolta senza odio, una pietà senza rassegnazione.

_________________________________________________________________________________________


RICERCA ARTISTICA E DIMENSIONE UMANA NELL’OPERA DI ANTONIO CORAZZA
di Francesca Agostinelli

La mia pittura non vuole dare soluzioni generali, né compiere riduzioni ironiche;
voglio dire come vede se stesso l’uomo oppresso,
non come si fantastica” 
(Antonio Corazza)


Sono trascorsi quasi sessant’anni da quando Antonio Corazza esponeva a Cervignano nella sua prima personale gli esiti di una ricerca artistica allora giovanissima. Era infatti il 1948 e l’artista esordiva appena diciannovenne sulla scena friulana. Proponeva, da autodidatta, una pittura che gli meritò l’attenzione del clima culturale del dopoguerra, sensibile alle tematiche minute cui egli si rivolgeva per parlare dei grandi temi dell’uomo, della storia, del lavoro e della sofferenza, temi che oggi sappiamo avrebbero condotto il suo fare artistico per tutti gli anni a venire. Radicò culturalmente la sua ricerca in Friuli, territorio  di cui comprese e interpretò il carattere perenne legato alla ciclicità della terra e alla concretezza della vicenda umana. Nel Friuli Venezia Giulia, negli anni seguenti, espose in dieci mostre, che da Gradisca d’Isonzo lo condussero a Trieste, quindi nuovamente  a Cervignano per approdare, era il 1957, ad una importante personale a Udine presso la Galleria del Girasole presentato in catalogo da Giuseppe Zigaina. Fu inteso allora il mesto accento di un neorealismo scevro da ogni epopea di popolo, da ogni celebrazione e solennità, da ogni programma o rivendicazione sociale, rivolto piuttosto con spontaneità e  partecipata adesione interiore a quella condizione che fuori dalla circoscrizione storica si configurava quale immutabile sofferenza.
Uomo schivo”, “Pittore inquieto” (1), Antonio Corazza si precisò nel periodo friulano come artista di figure, paesaggi, oggetti dimenticati. Saldo in una convinta concezione figurativa, ricercò l’ espressione di valori assoluti rivolgendosi ad una realtà ai margini con affondo intimo, nella contemplazione di ampiezze interiori in grado di sollevare dalla tragedia e dalla disperazione quegli “ultimi” cui egli sempre rivolgerà la sua attenzione prima.
Di quegli anni sono opere che dal paesaggio friulano muovono per raccontare la dura realtà del dopoguerra che l’artista in prima persona andava vivendo. Un mondo di lavoro, miseria e fatica che divenne pretesto per porre l’accento sulla condizione umana  in un complessivo umanesimo che si tinge di tratto poetico e che costituirà imprescindibile substrato per l’ arte a venire. Alcuni brani oggi in mostra dicono l’impegno etico e la rara intensità espressiva dell’artista, come  il grande Cristo crocifisso del 1956, esempio che richiama il grande tema cui Corazza dedicò una serie presentata nel 1967 a Roma e che fece parlare la critica di “laica religiosità” (2) per il carattere universale che egli attribuì alla sofferenza di questo moderno “Christus patiens”.
Ai primi anni Sessanta appartengono invece alcune Nature morte e Paesaggi ad olio su tela. Sono brani che nella tecnica mantengono ancora  l’ortodossia che l’artista a breve abbandonerà in favore di uno sperimentalismo teso alle esigenze espressive di un dire tormentato, complesso, allarmato, ma mai urlato. Composto piuttosto in una dignità   che si addice al carattere “permanente doloroso senza essere cupo, allarmato senza essere catastrofico” (4), di cui Antonello Trombadori scrisse nel 1976 riassumendo i toni che condussero nel tempo l’espressività dell’artista.
Laguna (1967-68), Il ponte sull’Ausa (1967-68), Bambini che giocano alla guerra (1969) testimoniano il passaggio tecnico indicativo dell’ approccio materico che il fare dell’artista conoscerà in coincidenza con il trasferimento nella capitale. Il nuovo carattere che contraddistingue la superficie pittorica offre spunti sinestetici nell’uso tattile e pittorico delle terre, intrise di una luminosità nuova, di cromie intense e timbricamente  differenziate. Una nuova fase, più felice certamente, si apriva nel periodo romano di Corazza, che conobbe il calore e la sicurezza di una famiglia propria, ma che nonostante le conferme personali e professionali, mai distolse lo sguardo dalle tematiche che costituiscono l’autentico motivo unificante, la certezza della coerenza artistica, la profondità e l’onestà intellettuale della sua ricerca.
Nella felicità cromatica dei Bambini che giocano alla guerra, nella grande  ed espansiva dimensione dell’opera, Corazza infatti non trascura l’aspetto contenutistico che in modo certo meno drammatico che nel periodo friulano, avvisava della condizione latente di violenza e sopraffazione che uniforma l’umanità sin dai giochi infantili.
E la tematica dell’incubo del risvegliarsi delle armi, sostenuto negli anni della guerra fredda dalla corsa agli armamenti, è anche il grande soggetto   dell’esposizione del 1969 alla Galleria romana “Il Vertice”.
Tornano gli orrori della guerra, i derelitti che la storia determina con la sua violenza: sono Fuggiaschi, I Dispersi di guerra, I fucilati, I profughi, cioè una umanità senza salvezza che  nella sopraffazione  non conosce ne’ vinti ne’ vincitori. Sono opere pittoriche, ma anche  grafiche che nel sintetismo delle stesure a china indicano il rigore del pensiero  e la perentorietà espressiva della denuncia.
Ma in mostra si trovano anche brani che hanno segnato nel 1972, alla galleria “Il Trittico” di Via Margutta, il ritorno alla tematica delle origini. Nuovi pescatori e boscaioli, cui Corazza attribuì  forza inedita anche nella sperimentazione tecnica, vennero realizzati attraverso un composto di resine, crete e terra vulcanica di grande vigore plastico. Ne risulta una superficie intensamente rilevata, che nell’adozione cromatica delle terre volge alla severità del monocromo, emblema del rigore di un vivere che nulla concede, neanche il colore,  alla divagazione dalla stretta necessità. Di queste opere, testimoni ormai delle soluzioni di un artista maturo, il Friuli conserva brani nel collezionismo privato, sempre indicativo dell’interesse che  la sua terra gli riservò. Ma ancor più evidente in questo senso è la grande mostra che  la Regione Friuli Venezia Giulia, in concerto con il Ministero dei beni culturali, dedicò all’artista nel 1978 e che portò a Palmanova una selezione di ottanta brani  che con fare antologico ne ripercorrevano l’espressività  dalle prime opere sino alle più recenti allora realizzate.
Fu per l’occasione anche prodotto un video documentario curato da Raniero Sabarini, forse il critico che con maggiore continuità seguì la vicenda artistica di Antonio Corazza, 
che vide nel complessivo  lavoro di presentazione l’opportunità per un riesame critico del suo stesso operato, per una disamina storica del suo essere artista che lo animò verso ulteriori, innovative ricerche. “Nella mostra ho presentato un campione di quadri che ho dipinto negli ultimi 25 anni. Quasi una vita”- disse in una intervista-. “E sono stato costretto a fare un ripensamento serio, anche un’autocritica, di tutto il mio lavoro. Sento un bisogno profondo di rinnovamento” (4). Ma l’esigenza che l’artista manifestava doveva rimanere senza seguito per la sua improvvisa scomparsa, avvenuta nel 1980. Antonio Corazza aveva solo  51 anni d’età, aveva da poco esposto a Parigi e nuovi orizzonti si profilavano a quella creatività che egli sempre aveva sottomesso a una precisa tensione morale, nella consapevolezza che “ Tutte le nostre idee sulla vita sono contenute nel modo in cui  guardiamo una qualsiasi cosa, un bicchiere o una rete di pescatori” (5).  
Antonio Corazza tuttavia non fu dimenticato. Fu istituito il “Premio Corazza” dal Provveditorato agli studi di Udine; Telefriuli curò alcune trasmissioni televisive per documentare, valorizzare e diffondere il suo operato. A mantenere vivo il ricordo dell’artista nella sua terra è inoltre il collezionismo privato, segno di un apprezzamento che consente nel territorio alcune presenze, anche importanti, della sua ricerca.
Ma testimone del rinnovato impegno nei confronti di questo artista è la mostra che il Comune di Cervignano gli ha voluto oggi dedicare, sentendosi credo rappresentato da questo dire mai dimentico dei valori primi su cui l’esistenza umana fonda la propria dignità e la propria etica partecipazione al mondo.

_________________________________________________________________________________
1) Cfr. F. Miele, La pittura di Antonio Corazza, in “Il Poliedro”, rivista mensile d’Arte, novembre-dicembre, Roma 1970
2) Cfr. F. Miele, Corazza, cat. Mostra presso la Galleria d’Arte “Il Babuino”, Roma 1967
3)  Cfr. A. Trombadori, Antonio Corazza, cat. mostra presso la Galleria d’Arte “Il Babuino”, Roma 1976
4) Cfr. L. Sanson, La pittura di Corazza verso nuovi orizzonti, in “Il Piccolo”, 31 agosto 1979
5) Cfr. L. Sanson, ibidem

_________________________________________________________________________________________


L
Ì DOVE SI INCROCIANO SENSIBILITÀ E IDEE  di Mauro Travanut  
(Presidente del gruppo consigliare regionale DS) 


A lato, dietro, prima che la tela esprima l’autore, l’autore è calato nel suo mondo. Antonio è un mondo che intende mostrarsi e che non vive certo una sorta di estraneità dalla restante intelaiatura sociale, dal “mondo” di tutti. Lì, dove s’incrociano sensibilità ed idee, lì, dove originano idealità e valori e si temprano propositi ed azioni, lì abitava l’artista cervignanese. Non c’è lirismo, né sfera intimistica ad aprire la sua strada. Semmai incontriamo un essere che s’incrosta di pesantezza, di estesa realtà, di stenti e di sofferenze. Sofferenze che attraversano gran parte dei suoi concittadini e che sono per lo più realtà e manifesti comuni. Antonio porta infatti negli occhi la fatica del suo tempo e soprattutto la condizione di un’esperienza sociale intrisa d’insoddisfazioni. La Cervignano della sua infanzia e della giovinezza è una realtà a forti squilibri economici ed egli non tarda certo a capirne cause e ragioni, e a scorgervi, conseguentemente e consapevolmente, motivi di reale e volitivo riscatto.
La sua opera non può non essere quindi che l’opera di una coscienza che raccoglie la sfida che il suo tempo offre e che egli onora nelle forme a lui personalmente congeniali. Antonio è il cammino di una parte di società cosciente di sé che desidera oltrepassare le contraddizioni emerse da una realtà sociale per lo più avara d’intrinseca giustizia. Il cammino poi affianca i freschi eventi di un paese in rapida crescita ed Antonio allarga lo sguardo in sintonia con quanto lo spirito produce in quei frenetici, turbolenti e scattanti anni sessanta. L’artista avverte via via il peso di un orizzonte che non si ritrova certo più nell’arco esperienziale giovanile. Anche se il panorama viene comunque sempre visto con le lenti critiche temprate in gioventù; ed il senso delle cose, della loro inadeguata presenza, è plasmato comunque dal desiderio di vivere politicamente ogni possibile, decisa, azione volta caparbiamente al cambiamento e al miglioramento individuale e della struttura sociale in cui vive.
Avverte poi esigenze che lo raggiungono dall’esterno, da un mondo che s’è indubbiamente allargato e che allargandosi lo ha messo a confronto con nuovi e più estesi problemi del vivere umano. La maturità lo trova alle prese con i grandi temi internazionali: ai conflitti, alle guerre e alle avversate ideologie ad impronta fortemente imperiale. La vibrante contrarietà per un ordine imposto e per un dominio manifestamente cercato, caratterizza il suo impegno che, prima ancora d’essere artistico, è sicuramente umanamente concepito. La guerra nel Vietnam lo vede impegnato a contrastare quei violenti ed inaccettabili soprusi, come, sul fronte interno, continua la battaglia per veder riconosciuti sia i diritti di natura civile, che i diritti di tipo sociale e politico. In parallelo, come fosse un filo conduttore del suo alto sentire ideale, va sottolineata la ferma e risoluta volontà di contenere qualsiasi lato abbia a che fare con la parte oscura, nera, negativa dell’illibertà fascista.
Antonio è stato un essere sociale, un essere politico, un essere culturale, un uomo quindi che ha messo sempre in prima linea la sua vibrante testimonianza di individuo impegnato e di persona abitante i vivi confini del suo tempo. Un cittadino ricco di coraggio e di cultura, un pittore che… sapeva essere senz’altro più delle sue opere.

_________________________________________

Testi tratti dal catalogo "ANTONIO CORAZZA"
Edizioni Andrea Moro, Tolmezzo (Udine), 2005